Umiltà di Dio
Il Figlio di Dio “venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).
Nel presentare l’evento dell’Incarnazione, la parola di Dio ama evidenziare, insieme alla motivazione determinante dell’amore, la caratteristica dell’umiltà.
Il racconto della nascita di Cristo sottolinea a più riprese questo valore che risponde a una chiara scelta di Dio. Gesù ha per madre una giovane di modesta condizione sociale; entra a far parte di una famiglia di semplici artigiani, residenti in un villaggio della Galilea, Nazaret, mai menzionato nell’antico Testamento.
Il parto ha luogo in una grotta di pastori, destinata a raccogliere il bestiame. La mamma avvolse il neonato in fasce “e lo depose in una mangiatoia, poiché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 7). Le prime persone a fargli visita furono “alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2, 8).
La situazione precaria di questa famiglia, lontana dalla sua residenza, è ulteriormente aggravata dalla persecuzione di Erode che minaccia la vita stessa del bambino: di fronte alla ferocia del tiranno, Maria e Giuseppe debbono cercare rifugio fuggendo in Egitto.
Nel riflettere sull’Incarnazione, S. Paolo mette in rilievo il messaggio di umiltà: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2, 6-7). Si spogliò, cioè, delle manifestazioni di gloria che competono alla divinità, per “rendersi in tutto simile ai fratelli…allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Ebr 2, 17).
Quali conseguenze ne trae S. Paolo per la comunità ecclesiale? Solo chi è umile è in grado di compiere sempre la volontà di Dio e di servire veramente i fratelli. Ognuno si formi un’obiettiva va-lutazione di sé, riconosca e apprezzi le qualità degli altri, vinca ogni brama di superiorità, di prestigio o di potere sul prossimo.
† Mons. Livio Maritano