Quel «raggio di luce» di nome Chiara Badano – Ottobre 2007
Il 7 ottobre di 17 anni fa moriva Chiara «Luce Badano», per una grave malattia. Ventidue giorni dopo avrebbe compiuto 19 anni. Ad Acqui nel 2000 si è conclusa la fase diocesana della Causa di canonizzazione. «Un raggio di luce – Riflessioni sulla spiritualità di Chiara Badano» è il titolo del libro scritto da Mariagrazia Magrini che, pubblicato in una edizione quasi tascabile e di facile lettura, si articola in 19 capitoli. Di recente la stessa autrice ha pubblicato il volume biografico su Chiara: «Di luce in luce».
L’autrice del libro e Mons. Livio Maritano, Vescovo emerito di Acqui, hanno personalmente consegnato una copia del volume a Benedetto XVI in occasione dell’udienza generale di mercoledì 27 giugno.
Sì, Chiara te la senti subito amica. Sorella. Madre. Avverti, forte, la certezza interiore di conoscerla bene. Di conoscerla da sempre. Pur senza mai averla incontrata di persona. Ma Chiara ti accompagna in una scoperta: ciò che è spirituale non è meno reale di ciò che è materiale. Anzi.
La storia di questa ragazza ti interpella senza sconti. Chiara ti mette in un attimo «a tu per tu» con la tua coscienza, con le tue scelte. Basta guardare una sua fotografia ed ecco che quegli occhi ti raccontano una storia normale nella sua straordinarietà, una storia che ti riguarda. C’è un fatto che stupisce in questa storia: com’è possibile che ti dia gioia, ti infonda speranza, ti affascini, ti avvolga di amore la vicenda di una ragazza, bella e piena di vita, morta a neppure 19 anni per una gravissima malattia che le ha inferto terribili sofferenze?
Eppure l’esperienza che Chiara «Luce» ti fa vivere è un fatto di gioia, di amore, di speranza. È un sorriso, è una verità straordinaria, autenticamente cristiana, che ti entra nel cuore con una semplicità disarmante, con una tenerezza che non ti aspetti da una vicenda che, stando ai corti criteri umani, dovrebbe essere per forza triste, disperata, incomprensibile.
Chiara ha saputo vivere una storia d’amore con Dio. Amore vero, appassionato, gioioso. Con l’ entusiasmo travolgente della sua giovanissima età, Chiara ha accettato di «stare al gioco di Dio», anche se era difficile accettarlo. E non si è proposta tanto di parlare di Gesù quanto di «darlo con il suo comportamento».
Ha ripetuto intensamente: «È per te, Gesù. Se lo vuoi Tu, lo voglio anch’io!». Con chiarezza ha vissuto fino in fondo la sua fede: «Io non ho più niente (di sano), però ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare». Poco prima di morire ha chiesto: «Nessuno dovrà piangere al mio funerale, perché quando una giovane di diciotto anni arriva in Cielo, in Cielo si fa festa». Alla mamma sussurra dolcemente: «Ciao, sii felice perché io lo sono!».
Chiara è nata il 29 ottobre 1971 a Sassello – un paese dell’Appennino ligure in provincia di Savona e nel territorio della diocesi di Acqui – dopo che i suoi genitori avevano atteso il dono di un figlio per undici anni. Ha vissuto l’esperienza cristiana in famiglia, nella sua comunità parrocchiale e accostandosi al Movimento dei Focolari. Studentessa al Liceo classico, appassionata di sport, a 17 anni all’improvviso un male incurabile, un osteosarcoma, ha dato inizio alla sua essenziale esperienza del Calvario.
Ha percorso questo cammino con la certezza della risurrezione. Quando il dolore l’ha straziata letteralmente, ha rifiutato la morfina perché «mi toglie la lucidità e io posso offrire solo il mio dolore a Gesù». Chiara si è fidata totalmente e consapevolmente del progetto che Dio ha «disegnato» su di lei. Un progetto di amore e di tenerezza.
È morta il 7 ottobre 1990. Per il funerale ha chiesto di essere vestita con l’abito da sposa e ha voluto che a cantare fossero i gruppi musicali del Gen Verde e del Gen Rosso. E poi un ultimo gesto: il dono delle cornee.
Alla Postulazione continuano ad arrivare segnalazioni di persone che si affidano, nella preghiera, a Chiara. Alcune storie sono davvero toccanti e costringono a fare i conti con il mistero. Soprattutto i giovani sono stupiti, commossi, affascinati da questa loro coetanea. Una marea di testimonianze confermano l’altezza spirituale, di amore a Dio che le ha dato la forza di affrontare la malattia con una serenità che la portava a consolare quanti andavano a lei con l’intento di consolarla.
Come ci è riuscita? La Causa, le testimonianze, hanno mostrato che la sua santità non è cominciata il giorno della malattia. Si è sviluppata nella sua quotidianità, piano piano, giungendo a vette di spiritualità impressionanti che ricordano, nella concreta schiettezza, la santità giovanile del Beato Pier Giorgio Frassati. Davvero non si è mai troppo giovani per essere santi.
E sono proprio i giovani, oggi, i protagonisti della storia di santità di Chiara: i giovani secondo l’anagrafe o lo spirito. C’è un vero e proprio «passa parola» che sta spontaneamente coinvolgendo i giovani cristiani di tutto il mondo. È un fatto che impressiona e che commuove.
Ci sono libri, musical, canzoni dedicati a Chiara. Dalla sua spiritualità sono scaturite anche numerose opere di carità. In Bénin, precisamente a Houèdo-Dénou, si è realizzato un progetto, intitolato a Chiara, riguardante un dispensario infermieristico. A Bohicon si sta costruendo una casa famiglia per bambini orfani e abbandonati. Più volte Chiara aveva indicato nella missione tra i piccoli dell’Africa una delle sue vocazioni. L’ha raggiunta con la preghiera, nella comunione dei santi.
Questo libro – curato con amore da Mariagrazia Magrini – è una testimonianza impressionante di amore, di fede. Sono pagine altissime e, allo stesso tempo, semplicissime. Si scopre che dietro al sorriso dolce dolce di Chiara c’è una spiritualità solida come una roccia, matura, centrata in Cristo, nel cuore della Chiesa. C’è una storia di santità.
Quello che Chiara ha saputo fare con il suo dolore non s’improvvisa. Non si diventa tutt’uno con la Croce all’improvviso. Non si riesce, senza l’incessante carezza del Signore, a incarnare la verità salvifica del dolore cristianamente vissuto. Nell’esistenza di Chiara, giorno dopo giorno, si scopre che c’è Dio «al lavoro». E lei ha collaborato, continua a collaborare, a questo «lavorio» d’amore.
g.p.m.
Fonte: Osservatore Romano – 6 Ottobre 2007