Il presepio, ieri e oggi – Dicembre 2021
Dire dicembre è dire Natale! E, dire Natale è avvertire un fascio di sentimenti che provengono dall’inconscio provocanti, insieme, difesa e attrazione.
Alludo a quella resistenza di noi adulti causata dal fatto che lo scorrere della vita ha intaccato o sbriciolato il mondo dell’infanzia con il suo linguaggio simbolico, capace di tenere unità, realtà e sogno, desiderio e attesa che fanno tutt’uno del passato, del presente e del futuro. Ora, la nascita di un “Bambino per noi” ci porta al fanciullo che è in noi risvegliando una nostalgia, il bisogno di ricominciare e la fretta che tutto passi, perché, diciamo: la vita è un’altra cosa. Il risultato è giudicare il Natale una festa malinconica.
Eppure ogni anno ritorna l’attrazione che il Natale porta con sé.
Sarà l’albero. Rappresenta così bene la nostra umanità rinsecchita, arida di fiori, frutti… Ed improvvisamente l’albero-umanità svetta verso l’Alto. Si riveste di luce, è garante di regali che dicono quanto solo l’uomo sia capace di gratuità perché libero dalla necessità; ama perché attratto dall’A-more. Sarà il presepio? Sembra di vederlo il nonno, sotto i nostri occhi sgranati, a costruire il presepio. “Vedi, diceva, il presepe rappresenta in piccolo il mondo, tante strade, tanti uomini, donne, bambini, tanti lavori, tanti alberi, pesci… Ma tutto va verso un punto: la capanna dove arriva l’incontro con Gesù. Quando il nonno non ci sarà più vuol dire che ha raggiunto la meta del presepio, sarà arrivato dove la gioia sarà grandissima”. E deponeva i Re-Magi sul muschio del presepe.
Sarà che la narrazione della nascita di Gesù è così vicina, è così dentro le pieghe della storia umana che ci pare di rileggerci dentro al racconto. Potenti, prepotenti dediti a censimenti e statistiche non per meglio servire la società ma per giustificare le forze-lavoro, soldati per la guerra, uomini per l’agricoltura… Due poveretti Maria e Giuseppe, i migranti di sempre, che non trovano ospitalità e il bimbo promesso nasce in mezzo alle pe-core, quelle nere che non possono entrare nell’abitato.
Erode divorato dalla paura che quel bambino possa soppiantare il suo potere, ordina di uccidere tutti i piccoli. Pare di sentire il grido delle madri, sembra di vedere a Kabul le madri nel tentativo di salvare la vita ai piccoli, tendendoli oltre il filo spinato.
L’attrazione ha fatto presa e ha raggiunto l’inconscio. E Giovanni scrive nel prologo del suo Van-gelo, come preludio ad una sinfonia tra Cielo e terra, il cui finale è la “Gloria”: lo svelarsi, il comunicarsi, il donarsi di Dio partendo dal nostro essere di carne, facendosi anima, cultura, insegnamento della vita, abbattendo il muro, la siepe della morte che “all’ultimo orizzonte il guardo esclude” e dunque restituendo noi a noi stessi. Dice Giovanni che Colui che viene “Era la luce, quella vera che illumina (rende luminoso, fotizeil) ogni uomo” (Gv 1, 9) e tutto l’uomo. Non solo entra quella luce a far emergere il peccato nascosto, quello dentro che impedisce di apprezzare la vita, considerarla un “caso” e una passione inutile e impone lo sguardo obliquo sul prossimo. Illumina la scienza e la apre alla sapienza, illumina e riscalda il desiderio dell’uomo e lo rende speranza, illumina la strada della vita mettendone in luce l’estuario: la vita eterna.
Hanno un bel dire i maestri del sospetto che questa non è altro che la nevrosi ossessiva dell’uomo e bisogna guarire l’umanità da ogni utopia che distragga dal presente. No! Superata la resistenza, l’attenzione è verso il Natale che svela il codice di orientamento della vita che è incarnarsi senza paura e fino in fondo nel dono ricevuto di essere nel tempo. Superare la paura del percorso. Non va verso il nulla ma verso una palingenesi, un rinascere dall’Alto, la Casa dove la gioia sarà grandissima.
Don Ezio Stermieri
Fonte: Credere all’Amore – Anno XVIII – N°3 – Dicembre 2021