Ricordato in Duomo il vescovo Maritano
Sabato 6 maggio, è stato ricordato, nella messa delle 18 in cattedrale, dal Vescovo Micchiardi e i canonici, il terzo anniversario della morte del vescovo Livio Maritano, mancato al Cottolengo di Torino il 6 maggio 2014 a 88 anni e sepolto nella cripta della nostra cattedrale. Nell’ultimo quarto del secolo scorso egli ha guidato la chiesa acquese come maestro impareggiabile. Maritano, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, ha talmente riempito e arricchito di testimonianza questa chiesa, che certamente il Signore un giorno spronerà qualcuno di noi suoi figli a scriverne, nei limiti delle parole d’uomini, i segni della sua presenza pastorale e paterna tra noi: “Pastor et pater”.
È giunto in diocesi poco più che cinquantenne, da sempre a Torino, la sua diocesi d’origine, era considerato professore, per cultura e professione. Dieci anni prima il cardinale Michele Pellegrino, lo aveva voluto al suo fianco prima come rettore del seminario maggiore di Rivoli e poi come vescovo ausiliare della diocesi del capoluogo. Qualcuno diceva: ma come può fare il vescovo se non ha fatto il parroco? Che meritasse il riconoscimento di professore lo testimoniano non soltanto il suo curriculum al seminario torinese, i suoi titoli accademici, ma soprattutto la sua costante capacità di leggere in modo sistematico.
La biblioteca del seminario di Acqui, fondata nel XVIII secolo dal Vescovo “Mons. Carlo Capra”, andrebbe dedicata al vescovo Livio Maritano, perché è stata lui a volerla ricostruita dalle fondamenta a cominciare dal 1981. Quando gli fu chiesto di lasciare, a questa sua opera, alcuni dei suoi libri personali, non si è fatto pregare due volte e oggi la biblioteca diocesana può mettere a disposizione degli studiosi 5.700 volumi, catalogati in Librinlinea, tutti i libri acquistati, letti e studiati di Maritano. In 65 anni di sacerdozio, da 23 a 88 anni, si tratta di una media di 88 libri all’anno. Per lui si potrebbero ripetere le parole del poeta latino: “Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo”.
È vero, Maritano non ha mai fatto il parroco, ma i parroci affidati alle sue cure li conosceva fraternamente ad uno ad uno e di ciascuno stimava le singole opere realizzate e li spronava con l’apprezzamento morale e, se poteva, con l’aiuto materiale: per loro, per aiutarli, ha scritto di suo pugno tutto il testo del Sinodo Acquese.
Dava del tu a tutti i suoi preti e li chiamava sempre per nome; non ha mai preso provvedimenti disciplinari in forza del suo ministero episcopale, ma sempre ha chiesto in fraternità collaborazione, riconoscendo le virtù dei collaboratori e non nascondendo i propri limiti personali e il bisogno che un vescovo ha dell’aiuto dei suoi preti. Meritava fiducia e affetto perché lavorava con tutti nella fiducia e nell’affetto.
Per alcun tempo è stato colpito da ‘fuoco amico’ proprio perché ha fatto bene del bene, delle opere buone; non ha mai serbato sentimenti men che positivi verso alcuno. Mai ostentato la sua preparazione culturale, sempre aggiornata soprattutto nei decenni del post concilio, in cui si è sempre pastoralmente identificato.
Era breve e conciso nelle omelie liturgiche, occupandosi di farsi capire dai fedeli di San Giorgio agli acquesi della cattedrale. Facevano testo le sue conversazioni ai politici, amministratori pubblici, medici, insegnanti, imprenditori, o gli articoli stessi della Rivista Diocesana e le lettere pastorali su l’Ancora. In dette occasioni si prolungava per 70, 80 minuti e favoriva il dibattito di approfondimento.
Quando qualcuno gli chiedeva gli scritti delle relazioni produceva un foglietto di 8 centimetri di lato, con alcune idee correlate e susseguenti: tutto qui. Non si preparava per la predica; faceva bene la lezione perché era preparato. Grazie mons. Livio, preghi per noi.
Giacomo Rovera